“Toc toc..che fate uscite? No, occupato”

Dinamica pubblica, apertura a tutti i soggetti della galassia dell’autogestione e moratoria sugli sgomberi pendenti sugli spazi occupati (abitativi e non) della città. Con questo indirizzo abbiamo risposto all’anomala convocazione dell’amministrazione comunale per sondare la serietà del tavolo aperto sul tema degli spazi sociali a Milano. Una convocazione, a cui crediamo non sia estranea la preoccupazione delle istituzioni di arrivare a una normalizzazione sociale e “territoriale” in vista di Expo 2015. Perché a pensar male – come diceva qualcuno che di queste cose se ne intendeva – spesso ci si azzecca.

Non a caso, nei giorni successivi diversi esponenti della giunta si sono espressi a mezzo stampa fondando invece il dialogo sullo stop a nuove occupazioni, sul rispetto delle regole, sull’impossibilità di garantire una tregua delle operazioni repressive. Alla luce di queste precisazioni, dello stato di ricatto in cui arriva la proposta e della complessiva confusione sull’oggetto d’interesse del nascituro tavolo non riteniamo possibile partecipare a un’interlocuzione che rischia di generare più problemi e divisioni che soluzioni. In particolare:

Il nostro spazio è un laboratorio comune di lotte e percorsi culturali. Nel vuoto di politiche pubbliche che rispondano alle esigenze di locazione sostenibile, aggregazione, cultura e sport le pratiche di occupazione e autorganizzazione non possono che proseguire con determinazione nel tentativo di dare spazio a queste urgenze.

Dialogare sotto ricatto provoca fastidiosi mal di pancia. Abbiamo l’impressione che alla domanda di una moratoria sugli sgomberi come premessa per un dialogo equilibrato tra le parti, il comune abbia ribattuto negando questa istanza ed esigendo come conditio sine qua non lo stop a nuove occupazioni: richiesta utile a creare solo divisioni (ricordate il principio del “divide et impera”?) e a giustificare operazioni di normalizzazione, già sperimentate nella gestione delle occupazioni abitative. É una responsabilità che non intendiamo assumerci.

L’apertura di spazi pubblici, troppo spesso chiusi e abbandonati quando non svenduti, è una cosa sempre positiva, su questo non ci nascondiamo. Tuttavia l’imposizione unilaterale dello strumento bando (su cui peraltro scontiamo un’ingiustificabile assenza di dati pubblici su quanto fatto sinora) come unica risposta all’esigenza di spazi non ci convince e non ci interessa. La matassa di soggetti imbastita per parlare di città pubblica, uso e riuso di spazi e centri sociali ci pare aggiunga confusione a confusione e ponga le basi per il fallimento del percorso ipotizzato. Ancora una volta per determinare l’assegnazione di spazi vediamo in campo i “player embedded” della giunta ed esclusi tutti i giovani, collettivi, artisti e associazioni che da anni attendono invano di capire come accedere agli spazi… e proprio in quest’assenza di risposte matura talvolta l’opzione dell’autorganizzazione.

Ci poniamo sul margine esterno della legalità per aprire nuovi spazi di libertà, espressione e lotta che crediamo siano socialmente e politicamente legittimi. Abbiamo interesse a sedimentare gli spazi che ci conquistiamo giorno dopo giorno e a sostenere forme inedite di apertura di spazi pubblici, ma non siamo disponibili a rinunciare alla vocazione politica dell’autogestione, una parola che fa tanto paura da essere accuratamente evitata da chi pensa che dialettica significhi libertà di dire la propria..con la mano della questura poggiata sulla spalla.

 

Milano, luglio 2014

PianoTerra